Mondoperaio
Associazione Riaprire i Navigli


  • 15 ottobre 2009 - Ordine del Giorno per il congresso, di Roberto Biscardini

    Un’importante occasione da non perdere

    1. Sulla base di una logica tutta nazionale, il Congresso delle scorso anno ci ha costretto a dividerci anche inutilmente, non ha consentito un dibattito ed un’analisi sulla situazione economica, sociale e politica di Milano e della provincia, ha impedito ogni coinvolgimento e confronto con le altre forze politiche e con le intuizioni locali.
    Ciò che è accaduto dopo è sotto gli occhi di tutti.
    Il partito ha conosciuto una fase difficile sul piano organizzativo e politico, abbiamo subito una perdita di iscrizioni rispetto al 2007, abbiamo affrontato le elezioni amministrative locali e provinciali in una condizione di grave difficoltà.
    Per tutti coloro che credono che non siano venute meno le ragioni per mantenere in vita a livello nazionale come a livello locale un’organizzazione autonoma dei socialisti, per tutti coloro che credono che non vi sia all’orizzonte per il partito nessuna prospettiva di scioglimento o di confluenza in altri partiti, per tutti coloro che non considerano esaurita la nostra esperienza politica e organizzativa, anche a Milano e in tutti i comuni della nostra provincia, il 2° congresso del Partito Socialista Italiano, dopo la Costituente, deve essere un’altra cosa rispetto al congresso dello scorso anno.
    Con molto realismo, ma altrettanta determinazione, deve essere un congresso unitario, per superare le incomprensioni e le divisioni del passato e non aumentarle. Un congresso che facendo leva sul senso di responsabilità individuale punti a rafforzare la comunità socialista come espressione collettiva dell’azione del partito. Un congresso che ha l’obiettivo di eleggere un gruppo dirigente provinciale, espressione naturale delle presenze più significative sul territorio, che si impegna in modo disinteressato e generoso a ricostruire la struttura delle nostre presenze territoriali per rafforzare un domani anche quelle nella società e nelle istituzioni.

    2. Le difficoltà del Partito e del socialismo italiano sono inesorabilmente cresciute quando il Partito Socialista ha smesso di essere rappresentato sul territorio. Quando si sono pian piano chiuse molte delle sue sezioni e soprattutto non si è più stati in grado di eleggere rappresentanti nelle istituzioni locali: nelle regioni, nei comuni grandi e piccoli e nelle circoscrizioni di quartiere.
    Gli assessori, i consiglieri nelle piccole comunità del nostro territorio provinciale non sono utili per chissà quali ragioni di interesse personale o di gruppi di potere, ma esclusivamente perché i nostri amministratori e la presenza strutturata del partito sul territorio permettono di tenere vivo il legame con i cittadini.
    Nel passato il socialismo si è espresso nel modo migliore attraverso l’azione di moltissimi bravi amministratori, che hanno costruito le metropolitane, i centri per anziani, gli asili e le case popolari che tuttora permettono a molte persone con redditi bassi di condurre una vita dignitosa. Oggi, una forza che si dice Socialista non può prescindere dall’obiettivo di avere una pattuglia, più numerosa possibile, di bravi amministratori riformisti e militanti sul territorio.
    Ma questo deve avvenire nell’interesse generale del partito, mai per interessi personali.
    Per nessuna ragione, la pur legittima necessità di ritornare nelle istituzioni, può compromettere o deviare l’azione autonoma e politica del Partito.

    3. In questo senso, questo congresso, senza togliere nulla all’importanza del dibattito e del confronto politico interno e nazionale, come lo sono stati sempre i congressi provinciali, deve avere soprattutto un carattere organizzativo.
    Un congresso “d’amore” per una creatura che abbiamo preservato e salvaguardato ininterrottamente per lunghi 15 anni, dalla data dello scioglimento del PSI. Un congresso per mettere le basi concrete affinché ci si possa rafforzare al proprio interno e per potere ritornare ad essere interlocutori della politica sul territorio, in modo aperto, in nome della nostra storia, della nostra cultura politica e delle nostre proposte per il futuro.
    Un congresso che non ha come argomento principale, con chi stare, con chi allearci e men che meno dove finire, ma un congresso, che deve essere il segno del nostro risveglio, del nostro rilancio, della nostra autorevole ripresa di spazio politico, al di là delle alleanze e delle intese che a livello locale si potranno o si dovranno fare.

    4. La prospettiva politica per i socialisti non si è chiusa a livello nazionale e internazionale.
    L’obiettivo che sempre i socialisti si sono assegnati di costruire in Italia una sinistra nuova, democratica e riformista, è più urgente che mai.
    Questo obiettivo, a partire dalla loro autonomia politica e culturale, può essere perseguito con chiarezza se si fa proprio un punto di analisi fondamentale.
    Siamo probabilmente alla fine di un ciclo, il ciclo della seconda Repubblica. I segnali sono molti, e in primo luogo è evidente la crisi del quadro politico-costituzionale di riferimento. Siamo di fatto entrati in una nuova fase costituente.
    In un recente seminario di Mondoperaio, la rivista che con tanta fatica si sta nuovamente affermano nel panorama delle riviste ideologiche e di dibattito politico per tutta la sinistra, sono emerse in questo senso indicazioni politiche precise.
    Il referendum del 21 giugno ha segnato anche simbolicamente la fine della seconda Repubblica, chiudendo un ciclo cominciato con un altro referendum, quello del 1991. Le promesse del movimento referendario sono state in gran parte disattese. Non è diventato più diretto il rapporto fra eletti ed elettori. Non si è realizzato un autentico bipolarismo. La governabilità non è migliorata nonostante i premi di maggioranza e gli altri accorgimenti di ingegneria elettorale. Il sistema dei partiti si è semplificato solo di recente, e non sempre in forme convincenti. Non si è realizzato un equilibrio più stabile fra i poteri dello Stato. Ed il ceto politico viene ormai identificato soltanto come una casta inutile, costosa e impresentabile.
    Neanche la democrazia dell’alternanza ha in realtà funzionato: di fatto, ha governato sempre Berlusconi. Innanzitutto perchè la vittoria del centrosinistra nel 1996 fu dovuta alla mancata alleanza della Lega col centrodestra, e la risicata vittoria dello stesso schieramento nel 2006 ha dimostrato immediatamente la sua debolezza numerica e politica.
    Con la fine del ciclo della seconda Repubblica si va esaurendo così non solo il ciclo della destra, ma anche il ciclo della sinistra. Siamo tutti pressoché uguali ai nastri di partenza e il processo di fondazione di una forza di sinistra democratica si ripropone in modo del tutto nuovo. E si intreccia con la necessità di dare vita ad un nuovo sistema politico.
    Nello stesso seminario di Mondoperaio si è detto: “L’autonomia socialista, quindi, oggi non si ispira né al risentimento per la persecuzione subita, né tanto meno all’integralismo identitario (che nella situazione attuale rischia peraltro di essere solo lo schermo per nascondere comportamenti opportunistici). Si pone invece fra gli strumenti di una maieutica che aiuti la società italiana a darsi istituzioni politiche meno precarie delle attuali, e tali, comunque, da garantire al meglio la libertà dei cittadini, la coesione sociale e la stessa unità nazionale.”.

    5. La prospettiva politica per i socialisti non si è esaurita neppure a livello locale.
    Ma, un partito indebolito ha come primo compito quello di crescere facendo leva sulla propria unità interna, isolando i detrattori e coloro che hanno in mente il traghettamento personale o collettivo verso altri lidi.
    Un partito indebolito a livello locale ha bisogno di ricostruire un rapporto di unità con il partito nazionale. Senza un partito nazionale, un partito locale, per giunta piccolo, non vive.
    D’altra parte, un partito troppo indebolito sul territorio, ed in modo particolare nell’ultimo anno, deve lavorare con intelligenza perché aumentino il numero delle adesioni, per rafforzarsi nei territori, nei comuni e nei quartieri, per intercettare quella grande area di bisogno sociale che dobbiamo ritornare a rappresentare.
    Nella nostra provincia in particolare, dobbiamo riscoprire la Milano dei ceti produttivi sempre più in difficoltà. Dobbiamo riscoprire la Milano del lavoro sempre meno garantito. Dobbiamo riscoprire la Milano delle povertà, delle sofferenze e delle solitudini. Dobbiamo riscoprire la Milano multietnica, come nuova realtà da governare.
    Dobbiamo trovare un modello di lavoro che ci faccia uscire dalle nostre sezioni per riprendere un contatto proficuo diffuso con il mondo delle associazioni, del volontariato, della cooperazione rientrando in contatto con i cittadini ovunque sia possibile.
    Una forza socialista rinasce dalla capacità di fare politica dall’alto, sempre più difficile da quando si è fuori dalle istituzioni parlamentari, ma anche dalla capacità di fare politica dal basso. Quelli che siamo, quanti siamo.

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